6/10/2016
La nuova regolamentazione adottata dal ministro della Giustizia è destinata ai non residenti e colpisce soprattutto i lavoratori palestinesi negli insediamenti della Valle del Giordano
Operai palestinesi in attesa al checkpoint per entrare in Israele, novembre 2010. (Foto: Yaakov Naumi/Flash90)
Roma, 6 ottobre 2016, Nena News – Una nuova regolamentazione del mercato del lavoro lede il diritto dei lavoratori stranieri in Israele ad accedere alla giustizia. Sono i circa 170mila lavoratori stranieri – di questi dai 55mila ai 60mila palestinesi della Cisgiordania – il segmento più vulnerabile e sfruttato della forza lavoro israeliana. Mentre svariati rapporti di media e di Ong hanno frequentemente documentato gli abusi subiti da questi lavoratori – impiegati spesso nei settori dell’edilizia, dell’agricoltura e dei servizi – nel mese di agosto il ministro della Giustizia Ayelet Shaked ha emanato una nuova normativa che impone alla maggior parte di essi di depositare una garanzia finanziaria – una somma il cui importo viene stabilito dal giudice – come condizione per l’avvio di azioni giudiziarie contro i propri datori di lavori nei tribunali del lavoro. Per i lavoratori stranieri sarà così troppo costoso far rispettare i propri diritti: ne viene favorito di conseguenza lo sfruttamento.
Si tratta di una normativa che colpisce la maggior parte dei lavoratori migranti e richiedenti asilo che lavorano in Israele e negli insediamenti coloniali, così come i palestinesi della Cisgiordania che lavorano nelle fattorie israeliane nella Valle del Giordano, piuttosto che i lavoratori stranieri provenienti da altri paesi. Infatti, ne sarebbero esentii cittadini di paesi che hanno firmato la Convenzione dell’Aja del 1954 sulla procedura civile – come la Romania, uno dei maggiori fornitori di manodopera per Israele – e coloro che hanno beni in Israele, come conti bancari, dai quali gli imputati potrebbero recuperare le spese legali in caso di vittoria.
La normativa è stata soprannominata “La regolamentazione della Valle del Giordano” proprio perché colpisce soprattutto i palestinesi che lavorano presso aziende agricole israeliane nell’area ed è stata così accolta con favore dai proprietari delle aziende agricole. Secondo quanto stabilito dalla Corte Suprema israeliana nel 2007, i palestinesi dipendenti da aziende israeliane negli insediamenti in Cisgiordania devono essere tutelati dalla legge israeliana al meno che non sia diversamente scritto nei contratti lavorativi, in modo da consentire ai lavoratori palestinesi di denunciare eventuali violazioni della legge. Tuttavia, con la nuova regolamentazione, avrebbero pochissime possibilità di ottenere i propri diritti.
I palestinesi che lavorano negli insediamenti coloniali saranno così discriminati perché considerati “residenti stranieri”nel loro stesso paese. L’obiettivo del ministro e del suo partito sarebbe in realtà, secondo quanto avrebbe riferito la parlamentare Moalem-Refaeli membro dello stesso partito, Casa ebraica, quello di ostacolare una “intifada legale” da parte dei palestinesi che lavorano negli insediamenti della Valle del Giordano contro i propri datori di lavoro.
L’8 settembre una coalizione di organizzazioni per i diritti umani, tra cui Adalah, il Workers’ Hotline che difende i diritti dei lavoratoriin Israele e l’Associazione per i diritti civili in Israele hanno presentato una petizione alla Corte Suprema israeliana con la quale hanno contestato la regolamentazione pubblicata il 2 agosto dal Ministero israeliano della Giustizia sulla base del fatto che attua una discriminazione in base alla nazionalità, in quanto lavoratori israeliani e stranieri sarebbero soggetti a criteri diversi nel perseguire il riconoscimento dei propri diritti, anche quando svolgono le stesse mansioni per gli stessi datori di lavoro uno di fianco all’altro.
In un rapporto pubblicato a gennaio sul modo in cui le aziende degli insediamenti contribuiscono alle violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi, Human Rights Watch sostiene che spesso sfruttino l’ambiguità legale assumendo lavoratori palestinesi in condizioni peggiori di quelle con cui potrebbero assumere lavoratori israeliani. Ciò consente inoltre di tenere basso il costo del lavoro. HRW riporta che, secondo la Ong israeliana per i diritti dei lavoratori KavLaOved (Workers’ Hotline), almeno la metà dei datori di lavoro degli insediamenti offrono ai palestinesi un salario che è inferiore al salario minimo israeliano e negano loro prestazioni sociali come assicurazione medica e giorni di malattia.
Gli abusi continuano anche perché le autorità governative non conducono quasi alcuna ispezione negli insediamenti a causa della posizione legale ambigua dei lavoratori palestinesi negli insediamenti. Alcuni lavoratori inoltre temono ritorsioni poiché dipendono dal datore di lavoro per l’ottenimento di permessi lavorativi israeliani.
Tutto ciò rientra in un contesto in cui i tribunali israeliani applicano la legislazione civile ai coloni, garantendo loro tutela legale, diritti e prestazioni di cui non godono i palestinesi, che sono soggetti invece alla legge militare israeliana, seppure per il diritto umanitario internazionale la legge militare dovrebbe governare i territori occupati a prescindere dalla cittadinanza, un doppio sistema giuridico considerato discriminatorio dalla stessa Corte Suprema israeliana.
Mentre tutte le attività imprenditoriali connesse agli insediamenti entrano in conflitto con gli standard internazionali sulle responsabilità delle imprese in materia di diritti umani, al di là delle condizioni lavorative, l’assenza di tutele legali per i palestinesi che lavorano negli insediamenti crea un elevato rischio di discriminazioni e di altri abusi.
Il ministro Shaked ha adottato la nuova normativa in maniera arbitraria, senza alcuna consultazione pubblica né approvazione dalla Knesset, inoltre non ha tenuto conto di numerosi precedenti legali che sottolineano che la richiesta di una garanzia finanziaria dovrebbe essere usata solo in circostanze eccezionali quando i giudici stabiliscono che i querelanti rifiuterebbero di pagare le spese legali o in caso di azioni legali futili.
Per le organizzazioni che hanno contestato la normativa il diritto all’accesso alla giustizia è fondamentale non solo per garantire il rispetto dei diritti umani, ma anche per la dignità umana. Ostacolare l’accesso ai tribunali del lavoro contribuisce a marginalizzare i palestinesi ed i lavoratori stranieri privandoli di una sede importante per far sentire la loro voce. Nena News
Rosa Schiano è su Twitter: @rosa_schiano
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